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Il federalismo prossimo venturo

 

Fratelli d’Italia? (con il punto interrogativo): uno scenario controfattuale

 

Il mese di novembre dell’anno appena trascorso, la rivista L’Espresso esce con il titolo Il governo cadde a fine estate (e il killer fu la Lega). Segue la spiegazione: «L’Espresso svela il caso Fratelli d’Italia?, il pamphlet firmato Anonimo che immagina la fine del governo Berlusconi, lo strappo della Lega Nord e la spaccatura federalista dell’Italia. Non è solo un’acuta e amara parabola politica. Ma anche un esperimento di editoria via web. Perché il libro è acquistabile on line».

In effetti, il libro è acquistabile on line (si veda la copertina qui accanto), collegandosi al sito Affari italiani. Non solo: è anche possibile leggerlo in linea, o anche scaricare i pdf relativi a ciascun capitolo, gratuitamente. Se vi recate al sito di Affari italiani, il quotidiano on line fondato e diretto da Angelo Maria Perrino (giornalista economico di area managerial-progressista, già portavoce dell’ex prefetto Ferrante, concorrente della Moratti alla carica di sindaco di Milano, nel 2006) potete farvi un’idea dell’ambiente di coltura di questo libro. Già, perché il libro nasce nell’ambiente tecno-progressista [1] di Affari italiani, chiaramente. Hanno anche fatto un miniconvegno su questo che dovrebbe essere il libro dell’anno, e che avrebbe «messo sottosopra partiti e istituzioni». E loro, per allungare il brodo, fanno finta di domandarsi chi sia l’Anonimo. Naturalmente, si fa il nome di Cossiga. Ma questa è l’ipotesi meno probabile, anche se è possibile che abbiano prestato orecchio a qualche discorso del malizioso presidente emerito. Lo stile è tutt’altro. E poi, fra gli autori indiziati, Penati, la massoneria…

    Secondo L’Espresso, invece, gli autori che si celano dietro l’anonimo sono tre. Fra questi, i due autori della prefazione: Davide Corritore, consigliere Pd al Comune di Milano, e Paola Domenichini, analista di comunicazione politica. Questa è un’ipotesi più che probabile, per il taglio giovanile del libro, per il linguaggio tecnocratico, per un certo periodare che sa poco di lucerna, e per una certa fretta nell’esposizione dei fatti, senza perder troppo tempo nella costruzione dei nessi e nella loro giustificazione. Cossiga avrebbe scritto e argomentato diversamente. [2] Rimane il fatto che, nel complesso, Fratelli d’Italia? è una bella provocazione intellettuale La lettura del libro, salvo qualche impuntatura, è piacevole, offre utili spunti di riflessione, solletica lo spirito critico. Perciò, secondo noi, val la pena leggerlo.

    Troverete in questa pagina i pdf del libro (sono gli stessi scaricabili dal sito Affari italiani), insieme ai riassunti di ciascun capitolo, che potrebbero costituire un incentivo alla lettura (perlomeno questa era l’intenzione). Abbiamo scritto questi compendi per due ragioni: la prima, che non ci è piaciuta la recensione dell’Espresso, quasi che il libro fosse un gioco di simulazione, una sorta di war game, e non quello che è, lo sfogo di alcuni giovani progressisti, per giunta intelligenti, che hanno capito certe cose e, non potendo dirle apertis verbis, le dicono lo stesso, non già per il gusto di simulare uno scenario, ma con l’intenzione di dissimulare il loro autentico sentire (dunque la simulazione dello scenario è un pretesto); la seconda ragione per cui presentiamo questi compendi è che, proprio perché abbiamo inteso lo sforzo di dissimulazione dell’autore anonimo, ci è piaciuto vestire di parole nostre quel pensiero dissimulato. È giusto che l’autore (gli autori) usasse cautela, avrà avuto le sue ragioni. Ma perché avrebbe dovuto esser cauto Aristide, che è un libero battitore, per giunta pseudonimo?

     

Anonimo, Fratelli d’Italia? (Battello Stampatore, Trieste, 2009)

 

Prefazione

 

Nella prefazione il lettore viene edotto della natura controfattuale della narrazione. Cioè, i fatti esposti sono la conseguenza di una premessa che viene data per vera, ma che non lo è. Dunque, poiché la premessa non è vera, non sono vere neanche le conseguenze (come siamo indotti a concludere applicando la regola d’inferenza proposizionale cosiddetta modus tollens). Detto in soldoni, il libro presenta lo scenario di una possibile rivoluzione italiana, a seguito della quale si ha la secessione delle regioni del Nord: la prima a staccarsi è il Veneto, le altre si costituiscono in Repubbliche autonome poco per volta. Ma poiché quella descritta è una rivoluzione all’italiana, la rivoluzione in fin dei conti lascerà che tutto sia come prima, o quasi. In particolare, continueranno i fasti del campionato di calcio e tutta l’Italia continuerà unanime ad appassionarsi al festival di Sanremo.

    Perché sia chiaro il concetto d’inferenza controfattuale, ecco un esempio semplice semplice: “Se mia nonna avesse le ruote, sarebbe una carriola”. Poiché però l’organismo di mia nonna è sprovvisto di ruote, ed è probabile che la sua deambulazione si compia per mezzo di due comunissime gambe, mia nonna non è una carriola. Parimenti, poiché mia nonna non è una carriola, niente è vero di tutto quello che posso immaginare di mia nonna, nell’ipotesi che sia provvista di ruote, come se fosse una carriola.

    Dunque, lo scenario descritto in questo libro non attiene alla realtà, dal momento che le ipotesi iniziali non hanno riscontro fattuale.

 

Cap. 1 - Wembley 2013

 

Il racconto prende le mosse dall’incontro di due amici allo stadio di Wembley, Londra: si è appena conclusa una partita di calcio tra la squadra inglese e quella italiana, a favore degli azzurri, che segnano un gol in zona Cesarini. I due amici sono uno italiano, l’altro inglese. Questi si mostra sorpreso per il tripudio della tifoseria italiana raccolta intorno al tricolore. Siamo nel 2013, la secessione delle regioni del Nord Italia si è consumata da più di un anno, l’inglese non capisce. L’amico italiano, nel corso di un dialogo che si snoda in tutto il libro e che comincia – appunto – nello stadio di Wembley, continua in metropolitana e si conclude in un pub di Londra, si sforza di spiegare all’incredulo amico inglese come tutto in Italia sia potuto cambiare, senza tuttavia che i pilastri del sentimento nazionale venissero meno alla loro funzione di sostegno di un’Italia federata, sì, ma pur sempre Italia.

    L’italiano spiega che i prodromi della rivoluzione potevano essere percepiti già al tempo della campagna per le elezioni regionali del 2010, quando si recano al voto regioni come l’Emilia-Romagna, la Lombardia, il Piemonte e il Veneto: quattro regioni che da sole esprimono gran parte del Pil nazionale e che rappresentano nel loro insieme una delle aree più ricche di questo pianeta.

 

Cap. 2 - Primavera 2010 - I sintomi

 

La campagna elettorale della Lega nord nella primavera del 2010 è pochissimo ideologica. Il leitmotiv è questo: saranno tutelati i ceti produttivi e chi rischia in proprio può contare su un occhio di riguardo da parte della Lega. Il messaggio fa presa soprattutto nel Veneto, dove nella piccola e media industria il confine tra le maestranze e il padrone presenta numerosi varchi ed è attorniato da zone franche, residuo di un tessuto solidaristico antico. Rispetto al 2001, quando la politica è stata dominata dal tema della paura, molte cose sono cambiate. Paradossalmente, sono pronte al cambiamento non soltanto le regioni del Nord, ma anche quelle del Sud: nel senso che Campania, Sicilia e Calabria sono pronte a cambiare, purché niente cambi. La disponibilità a un cambiamento di facciata (sul genere del nuovo Rinascimento napoletano pilotato da Bassolino) è la risposta del Sud che ha sempre subito tutto in Italia: prima l’unificazione, poi il fascismo quindi la liberazione, infine la repubblica, senza che mai avesse avuto una parte attiva. L’unificazione d’Italia, infatti, fu una conquista sabauda, il fascismo rappresenta una soluzione di modernizzazione dell’Italia in favore dei ceti industriali emergenti del Nord, la liberazione è stata portata dal vento del Nord, al referendum il Meridione vota per la monarchia, ma prevale in Italia la Repubblica. Però, chi ha detto che il Nord e il Sud d’Italia siano così distanti? Sono distanti, certo, ma non in tutto. La contaminazione delle classi dirigenti del Nord e del Sud, per esempio, è un fatto acclarato e consumato ormai da tempo: basti considerare che quando Cuccia venne minacciato dalla mafia, si guardò bene dal rivolgersi alla polizia o alla magistratura. Risultato: il liquidatore della banca di Sindona, Ambrosoli, sarà ucciso.

    Le elezioni del 2010 si concludono con un forte avanzamento della Lega nord. Verso l’estate 2010 la crisi economica non demorde: aumenta la spesa pubblica, diminuisce il gettito fiscale. Berlusconi prova ad arginare la situazione sospendendo gli investimenti strutturali nel Nord.

 

Cap. 3 - Diagnosi mancate

 

Siamo sempre nel 2010, poco prima dell’estate. A seguito della vittoria elettorale, la Lega nord pretende e ottiene lo sblocco dei finanziamenti agli enti locali e alle regioni del Nord. Frattanto il debito pubblico dello Stato italiano rispetto al Pil supera il 110% e in Italia non si trova più – come nel passato – un’élite che o per meriti resistenziali, o similari, possa fare da paravento, a copertura degli interessi del “partito romano” e di quello confindustriale. Per ragioni di sopravvivenza, il partito romano aderisce a un programma sempre mutevole, ma con alcune costanti, tra le quali è riconoscibile quella dello “sdegno”.

    Berlusconi, che avrebbe dovuto contrastare il partito romano, e in parte quello confindustriale, è ormai isolato: gli ambienti economici e finanziari remano contro. I servizi segreti offrono il loro contributo per disarcionare Berlusconi.

 

Cap. 4 - La caduta

 

A ridosso dell’estate 2010, a seguito delle rivelazioni di una ragazza di vita (così si diceva una volta, oggi si dice escort), pubblicate su un settimanale, riguardo alle inclinazioni sessuali di Berlusconi, divampa ancora una volta la questione “morale”. Il dibattito sembra placarsi durante la pausa estiva, ma a settembre si registrano dure prese di posizione da parte del Vaticano e della Conferenza episcopale italiana. Nel corso della prima seduta parlamentare, dopo la pausa estiva, il governo si trova in minoranza: quaranta dei cento voti mancati all’appello sono attribuibili alla defezione della Lega nord. Berlusconi chiede allora il voto di fiducia, ma anche adesso mancano cento voti. È chiaro a questo punto che il pallino non è più nelle mani di Berlusconi, il quale aveva, sì, interpretato alcune istanze progressive dei ceti produttivi, ma non aveva eroso, o non era riuscito a erodere, il potere di manovra e d’interdizione della lobby romana, teleguidata dalla lobby confindustriale e, più ancora, da quella finanziaria. Il fatto è che lo Stato è più che mai sgretolato, la politica è debole o non esiste, mentre i gruppi di interesse economico godono di un grandissimo potere di condizionamento dell’orientamento legislativo e normativo dello Stato, pur avendo un consenso diretto minimo: perciò è necessaria l’alleanza con il partito romano.

 

Cap. 5 - Terapie cieche

 

A seguito del voto di sfiducia riportato dal governo guidato da Berlusconi, si coagula un nuovo blocco di alleanze: Udc, buona parte del PD, l’Italia dei valori, vari settori del Pdl. Sostenuto da questa alleanza, Mario Monti, presidente dell’Università Bocconi, raffinata espressione accademica del potere economico-finanziario, guida un “Governo di salvezza nazionale”. La formazione di governo comprende: Massimo D’Alema, vicepresidente; Antonio Di Pietro, ministro della Giustizia; Gianfranco Fini, ministro degli Esteri; Pier Ferdinando Casini, ministro degli Interni. Gli altri ministeri vanno a membri della cosiddetta società civile. La Lega si astiene. Il partito romano esulta, gioisce la Confindustria, all’estero si registra soddisfazione. La nuova compagine di governo mostra, da subito, di avere un’alta considerazione di sé, perciò scivola nell’errore illuministico di proiettare sulla realtà effettuale delle cose un’altra realtà, soltanto vagheggiata. Si convincono così di dover agire sulla realtà vagheggiata, invece che sulla realtà delle cose. Per far fronte all’innalzamento della spesa pubblica, si fa strada l’idea di un innalzamento dell’età pensionabile. Quando si arriverà al voto, Bossi e i suoi esprimono voto contrario.

     Intanto il comportamento libertino di Berlusconi ha un seguito giudiziario. La magistratura chiede di processarlo, D’Alema afferma che la questione deve essere dibattuta in Parlamento. Di Pietro rassegna le dimissioni. Nel corso di una seduta parlamentare, in merito all’autorizzazione a procedere contro il libertino Berlusconi, alcuni esponenti della Lega agitano un cappio. L’autorizzazione verrà concessa.

    Siamo arrivati al dicembre 2010: il governo tecnico guidato dal presidente della Bocconi decide, per risanare il bilancio, di introdurre un’imposta sulla seconda casa, nonché un prelievo sui depositi bancari delle famiglie.

    Nel gennaio 2011 le città di Napoli, Taranto, Reggio Calabria e Palermo presentano i bilanci. I sindaci fanno presente che, in mancanza di un intervento dello Stato, a marzo non saranno più in grado di pagare i dipendenti comunali. Luca Zaia, governatore del Veneto, annuncia che nel caso in cui lo Stato intervenisse a risanare i bilanci dissestati di queste città, il Veneto tratterrebbe per sé il prelievo d’imposta dei suoi cittadini. Inoltre la regione Veneto impugna la decisione del governo di bloccare gli stipendi del personale di Stato. Anzi, nel Veneto si procede a nuove assunzioni. C’è aria di secessione.

 

Cap. 6 - Debolezza dei forti, forza dei deboli

 

Si scopre in questo frangente – allorché la politica si spappola – che i poteri forti (società immobiliari e finanziarie, editoria, concessionarie statali ecc.) non sono poi così forti. Infatti, il 90% degli occupati sono sparsi nelle aziende medio-piccole. Finora questi “poteri diffusi” non hanno fatto massa critica, adesso potrebbero diventare importanti. Potrebbe esser venuto per i ceti produttivi dell’Italia settentrionale il giorno cruciale, simile a quel lontano 20 giugno 1789, allorché in Francia i rappresentanti del terzo Stato, riuniti nella sala della pallacorda, nel palazzo di Versailles, giurano di dare una Costituzione alla Francia e proclamano l’Assemblea nazionale, attribuendosi il potere esclusivo di legiferare in materia fiscale.

    È vero, i poteri diffusi non sembrano importanti, dal momento che non godono di adeguata rappresentazione nei mezzi di comunicazione di massa, che sono controllati dal potere romano e da quello confindustriale. Eppure la chiusura di 1000 attività produttive che pesano per 30.000 dipendenti è obiettivamente più rilevante della messa in cassa integrazione di 1000 addetti alla Fiat.

    L’intenzione di secessione del Veneto è accolta dai governatori delle restanti regioni del Nord Italia con atteggiamento attendista. La grande stampa un po’ lancia l’anatema (indignata per la disgregazione della Nazione, ovviamente), un po’ la butta sul personale: si commentano ampiamente le giacchette attillate di Luca Zaia, si disquisisce sui suoi pantaloni a tubo. Intanto Tremonti passa alla Lega nord.

    Luca Zaia abbandona ogni indugio, scioglie il consiglio Regionale e indice nuove elezioni. Zaia si comporta come se la secessione fosse già avvenuta, non si fa intervistare dei giornali nazionali, ma solo da quelli veneti.

 

Cap. 7 - Katastrophe

 

Il 15 febbraio 2011 si gioca la partita Catania-Chievo. L’arbitro concede al Chievo un calcio di rigore, poco prima della fine della partita. Il Chievo segna, nasce il finimondo. Sei tifosi, tutti veneti, cadono sul campo. Le salme sono portate a Belluno e di lì, seguendo il corso del Piave, sono traslate a Venezia. Poi ancora da Venezia le salme dei caduti, acclamati come martiri, seguite da un corteo che s’ingrossa sempre più, sono traslate lungo il corso dell’Adige, fino alle sorgenti.

     Il giorno delle votazioni indette da Zaia, il 27 febbraio, il suo partito (Nuova Lega) raccoglie il 74% dei consensi. A questo punto, nell’arco di una sola settimana, Zaia stende la Carta costituzionale della regione, porta il prelievo sulla busta paga dei lavoratori dipendenti (tasse e contributi pensionistici) a un livello uguale per tutti, pari al 35%, fonda una società finanziaria con il concorso di tutte le piccole-medie banche venete. È la nascita della Nuova Repubblica Veneta. Il ministro delle Finanze del Veneto lancia un’offerta di obbligazioni che gli consente di raccogliere in una settimana cinque miliardi di euro, grazie anche al concorso di fondi tedeschi e centro-europei.

    Il bocconiano Mario Monti un po’ lancia invettive, un po’ spera che la Nuova Repubblica Veneta collassi da sé. Per evitare che le rimanenti regioni del Nord Italia seguano l’esempio veneto, adotta un insieme di misure severe per il contenimento della spesa nel Sud. Ma proprio adesso insorge anche il Meridione d’Italia. A Napoli e Palermo intervengono i carri armati e le autoblindo della polizia.

    A seguito della repressione ordinata da Monti, anche il Sud avrà i suoi martiri, caduti negli scontri di piazza. Durante un corteo di protesta un sindaco meridionale si strappa la fascia tricolore. Per porre un argine allo stato di malcontento generale, il bocconiano Monti decide di devolvere le competenze dello Stato centrale alle regioni, quasi in pegno di un ritorno alla normalità, perlomeno nel resto dell’Italia, considerato che il Veneto è perso. I magistrati sono adesso nominati dal governo. Nella Nuova Repubblica Veneta, invece, i magistrati sono eletti direttamente dal popolo.

    Nonostante la devoluzione concessa in extremis da Monti a tutte le regioni d’Italia, dunque anche alle regioni settentrionali, si registra a nord una progressiva fuga dall’Italia: sull’esempio del Veneto, secede dapprima la Lombardia, seguono a ruota le altre regioni, ultima la Liguria. Si pone a questo punto il problema della ricollocazione della massa enorme di dipendenti dei ministeri e degli enti pubblici. Ma ormai si trova una soluzione per tutto, anche per questo problema che solo pochi anni prima si dava per scontato che fosse insolubile.

 

Cap. 8 - The end: una favola menzognera

 

L’Italia è adesso, ormai da più di un anno (siamo nel 2013) uno Stato di Repubbliche federate. Ma com’è che tutto ciò è stato possibile, quasi senza traumi? Il fatto è che si era dato per scontato che l’Italia fosse in crisi profonda, ma non era vero. Si dava anche per scontato che le giovani generazioni non avessero capacità di progetto e di realizzazione. Un processo di deresponsabilizzazione aveva infiacchito l’Italia, il potere sembrava che avesse radici inestirpabili. Ma non era vero.

    Il fatto è che si era vissuti tutti, chi più e chi meno, nella menzogna. Usciti dalla menzogna, si scoprì che la vita continua. Erano cambiate le cose che dovevano cambiare, ma nessuno chiese – per esempio – la sospensione del campionato di calcio. Anche il festival di Sanremo continuò ad andare regolarmente in onda, le famigerate notti romane continuarono a essere un punto di accumulazione dello svaccamento turistico (tra i turisti, i padani sono ancora in prima fila, come prima e più di prima). Alla fine della fiera, tutto sembra come prima, tutti si comportano come se appartenessero a un unico paese.

 

 


 

[1]   Numerosi sono gli indizi che il libro sia nato in ambiente tecno-progressista, in particolare (anche se non solo) quelli linguistici. Né si può ipotizzare che l’uso di certe espressioni sia soltanto un artifizio letterario, come avviene nella prosa dell’ing. Carlo Emilio Gadda, gran lombardo, gloria e vanto delle lettere italiane del Novecento, il quale si compiaceva di usare parole tecniche e vernacolari in funzione ancillare, per il conseguimento di un effetto barocco. No, qui il ricorso al linguaggio tecnocratico è preterintenzionale. Esso si insinua nel discorso – talvolta – con gentile ma ferma iattanza. Per esempio, la locuzione “portare avanti” è utilizzata senza l’ironia che meriterebbe, mentre ricorrono, con malcelata pretesa di pregnanza mistica, vocaboli risibili come issues, skills, buyer, asset, mix ecc.

[2]   Cossiga, com’è noto, è appassionato di diavolerie elettroniche, ma il suo modo di esprimersi è quello di chi ha studiato in un buon liceo classico d’antan, quando tutti i licei erano buoni licei, perché la selezione dei professori era rigorosa. In particolare, Cossiga ha studiato al liceo Azuni di Sassari, che conta fra i suoi allievi illustri Palmiro Togliatti. Il quale ebbe da quel liceo un imprinting indelebile: il leader del pci, non senza fondamento detto “il Migliore”, amava intrecciare con il giornalista Vittorio Gorresio dotte disquisizioni letterarie con abbondanza di citazioni latine. In qualità di vicepresidente del Consiglio dei ministri nel governo Badoglio ii, insediatosi dopo la svolta di Salerno (aprile-giugno 1944), Togliatti ebbe rapporti con Benedetto Croce, ministro senza portafoglio. Ecco che cosa ebbe a dire di Croce: «La stesura del programma di governo è stata affidata a Croce. Ho dovuto correggere un periodo zoppicante. Nel testo vi era un “onde” seguito da gerundio. Ho detto che non avremmo potuto commettere una svista simile, in considerazione del fatto che siamo così vicini alla città dove ha insegnato il grande purista Basilio Puoti» (M. Caprara, L’inchiostro verde, Simonelli, Roma 1996, p. 60). Alla luce di questo esempio di acribìa linguistica da parte di chi ha frequentato un liceo classico del buon vecchio tempo antico, e con tutto il rispetto per gli stilemi linguistici tecnocratici che figurano in Fratelli d’Italia?, ci sentiamo di escludere categoricamente che Cossiga possa essere l’autore del libro.