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Scuola di giornalismo / 2

 

Eloquenza della notizia negata

 

 

 6 gennaio 2010

 

Il 29 dicembre dell’anno appena trascorso si è tenuta a Curno una riunione del Consiglio comunale, obiettivamente molto importante. Anche alla luce di quanto è scritto nella nostra Pedretteide. Eppure l’Eco di Bergamo, che ha sempre dato notizia di tutte le precedenti riunioni, questa volta tace. Il giornale tace anche se la giornalista che da qualche tempo segue le cronache di Curno era presente nella sala consiliare, proprio come le altre volte. Vorrà dire che adesso è in vacanza oppure – quod Deus avertat! – che è malata.

    Poiché il giornale tace, vi diciamo noi che cosa è successo in quella riunione di Consiglio. All’ordine del giorno c’erano alcune cosucce più o meno importanti (noi non ci pronunziamo, giudichino coloro che sono addentro agli arcana imperii). Dopo quelle cosucce ci fu una comunicazione del sindaco, la quale tutto si può dire tranne che irrilevante, anche sotto il profilo giornalistico. Infatti, il sindaco ha posto fine alla polemica, che si trascinava ormai da due mesi, riguardo alla questione della cosiddetta moschea di Curno.

    Bisognava dare una risposta al quesito: Pedretti ha veramente architettato un’ispezione nel luogo e nell’ora in cui gl’islamici si riuniscono per la preghiera, come il sindaco affermò nel mese di ottobre? Per questo – ricordiamo – Pedretti fu destituito dalla carica di vicesindaco, per questo gli furono ritirate le deleghe: per manifesta e duplice empietà, nei confronti sia degl’islamici in preghiera, sia dei curnensi che potevano essere trascinati in una guerra di religione. L’ex vicesindaco aveva finora minimizzato o anche negato le sue responsabilità. Anzi, aveva rilanciato, affermando che le deleghe gli erano state levate per ben altro, come si dice. Aveva lasciato intendere che il sindaco coprisse certi affarucci immobiliari che solitamente ripugnano alla sua, di Pedretti, cristallina integrità morale. L’opposizione si dichiarerà più volte d’accordo con questa impostazione difensiva di Pedretti. Arriverà a dire che Pedretti è un “capro espiatorio”.

    Bene, la notizia è questa: nel corso dell’ultima seduta di Consiglio comunale abbiamo udito con le nostre orecchie che è agli atti la prova di tale macchinazione. C’è la deposizione di un pubblico ufficiale. Dunque la macchinazione c’è stata, contrariamente a quanto Pedretti e i suoi ascari affermavano (vedi la Pedretteide). Carta canta: «l’intervento era stato richiesto sollecitamente dall’assessore Pedretti, che sarebbe voluto essere presente durante il sopralluogo». A seguito della rivelazione di questa prova, Pedretti intimò in Consiglio comunale – udite, udite! – che la questione doveva considerarsi chiusa. Comodo, vero? Pedretti pretende ancora di “fare lo sceriffo” (per usare una felice espressione della dott.ssa Perlita Serra), anche adesso che è un semplice consigliere, per giunta sotto osservazione da parte del suo stesso partito.

    La comunicazione del sindaco è rilevante per due ragioni: a) l’onore del sindaco, infangato dagli schizzi allusivi congiunti del Pedretti e dell’opposizione, è salvo; b) la lettura del documento (procrastinata dal sindaco per motivi di opportunità politica e di ordine pubblico, ma sollecitata da Aristide, di temperamento manifestamente irrequieto) pone termine a una polemica che si trascinava da due mesi. Spiace che sull’Eco di Bergamo, che pure ha dato notizia di quella polemica a più riprese, non si siano accorti della rilevanza della notizia. Eppure:

a) quando Pedretti distribuì i crocifissi a mo’ di gadget promozionali, il giornale diede ampio risalto a quell’iniziativa di misera blasfemia paesana, che l’ambizioso uomo politico curnense aveva architettato per spostare l’attenzione dal fattaccio della cosiddetta moschea, oltre che per dimostrare ai vertici del partito che la sua candidatura al Consiglio regionale della Lombardia sarebbe stato un ottimo investimento: infatti lui, lui sì, lui sa come si tengono in pugno i giornalisti;

b) quando Pedretti, dopo la verifica burocratica degli uffici del Comune, “scoprì” quel ch’egli sapeva benissimo, che cioè i locali adibiti al culto settimanale non avevano il cosiddetto certificato di agibilità, l’Eco di Bergamo diede risalto alla notizia di quest’ultima sua trovata. La quale non dimostrava niente riguardo alla legittimità della precedente iniziativa di ispezione, quella di ottobre, con modalità di provocazione: ma, nella confezione giornalistica, doveva sembrare una prova a favore di Pedretti. Comunque, a seguito dello “denunzia” del Pedretti, il Comune ha fatto richiesta di acquisire la documentazione attestante l’agibilità, che sarà prodotta entro la seconda metà di gennaio: non sarà una grande notizia, ma considerato che prima l’Eco di Bergamo ci aveva edotti dell’assenza di agibilità certificata della struttura, sarà forse il caso che, a tempo debito, il giornale orobico faccia parola dell’agibilità ritrovata.

      Per dirla molto schiettamente: adesso che abbiamo la prova che Pedretti mentiva, l’Eco di Bergamo tace .

 Naturalmente, conserviamo la speranza di leggere nelle pagine del giornale il resoconto del Consiglio comunale del 29 dicembre, con approfondimenti e interviste, come nel caso degli altri Consigli comunali. Quando? Nel frattempo proponiamo ai nostri lettori la visione di uno spezzone del film Diritto di cronaca, di Sydney Pollack (1981), con Paul Newman. Come il film Tutti gli uomini del presidente (1976) mostra efficacemente l’aspetto eventualmente nobile del giornalismo, così Diritto di cronaca ne mostra, con non minor efficacia, l’aspetto eventualmente ignobile.

 

 

Diritto di cronaca (titolo originale: Absence of malice)

 

La vicenda del film si snoda a partire dalla convergenza degli interessi di un procuratore ambizioso con quelli di una giornalista ambiziosa. Il procuratore non riesce a risolvere, ormai da parecchi mesi, il caso dell’assassinio di un sindacalista. Le sue quotazioni sono in ribasso, ha bisogno di visibilità. Perciò decide di incastrare Paul Newman. Già, perché Paul Newman è figlio di un noto contrabbandiere degli anni del proibizionismo: dunque, fa notizia. I giornali devono pubblicare che Paul Newman è indagato come esecutore del delitto, anche se non c’è uno straccio d’indizio, anche se è noto che Newman è pulito. Il procuratore chiama la giornalista, lascia di proposito aperto un dossier sulla scrivania, dopo aver chiesto alla segretaria di trovare un pretesto per farlo uscire.

    La giornalista deve fare carriera e ha bisogno di notizie che facciano il botto. Lasciata sola nella stanza del procuratore con il dossier spiattellato davanti, mangia la foglia, legge il dossier e pubblica tutto: Paul Newman è sbattuto in prima pagina. Il procuratore rilascerà una dichiarazione, nella quale fa lo gnorri: lui non ha comunicato niente alla giornalista; quanto alle indagini in corso, non conferma e non smentisce.  Allora un’amica di Paul Newman si fa viva con la giornalista. Le fa sapere che il presunto assassino si trovava con lei, il giorno del delitto, in un’altra città. Era rimasta incinta (di un altro), Paul Newman l’aveva aiutata ad abortire. Prega la giornalista di non fare parola dell’aborto, ma di fare qualcosa per restituire l’onore al suo amico. La giornalista pubblica tutto, aborto compreso (è una “buona notizia”), l’amica si suicida. Paul Newman, usando l’intelligenza, manovra perché giustizia sia fatta.

    Va da sé che quando si stabilisce un’analogia tra due situazioni di fatto, o tra una situazione di fatto e il contenuto di un film, i due piani dell’analogia non sono in rapporto di corrispondenza biunivoca, come direbbero i matematici. Tanto per intenderci, l’Eco di Bergamo non ha procurato la morte di nessuna ragazza. Ma ha fatto morire la speranza di un’informazione equilibrata, questo sì.

  

Per leggere la sceneggiatura del clou di tutta questa vicenda, fare “doppio clic” sull’iconcina qui accanto    :

 

Fino a qualche tempo fa era visionabile lo spezzone relativo alla sceneggiatura che abbiamo trascritto su pdf per voi (vedi sopra). Ma, per ragioni di copyright, lo spezzone è stato levato dalla rete. Allora lo spezzone ve lo raccontiamo noi.

Paul Newman, avendo deciso di ripagare il sistema giudiziario con la stessa moneta con la quale è stato pagato, ha architettato un caso che richiede l’intervento di un alto funzionario del Dipartimento di Giustizia, Wells. Viene fuori così la verità sulla falsa fuga di notizie, che altrimenti non sarebbe mai venuta alla luce. Conclusione: Rosen, il procuratore ambizioso (procuratore aggiunto, Assistant US Attorney) e Quinn, il suo superiore, il procuratore distrettuale (District Attorney), perdono l’incarico.

Gallaghan, interpretato da Paul Newman, si prende la sua soddisfazione (che comunque non lo ripaga della perdita dell’amica Teresa Perrone). La giornalista Carter fa i conti con se stessa, capisce il male che ha fatto, quello che può fare o quello che può non fare: davanti all’ispettore del Dipartimento di Giustizia, decide di non fare il male, almeno questa volta. Nell’ultima sequenza del film vedremo come la giornalista, avendo conosciuto Newman, e avendo capito la differenza che corre tra un vero uomo e un ominicchio, faccia una scelta di vita: tra una carriera da percorrere senza un briciolo di umanità e una condotta di vita improntata a una concezione civile e pacata dei rapporti di convivenza, anche a costo di sacrificare la carriera, sceglie di essere umana.

Nota 1 - Questo film ha ricevuto una quantità di riconoscimenti internazionali (menzione speciale al Festival di Berlino, premi alla sceneggiatura e agli attori) e una recensione entusiastica sul New York Times. In Italia, invece, Giovanni Grazzini è stato tiepido, Tullio Kezich negativo. Eppure parlava del sistema giudiziario americano e del sistema giornalistico americano, non di quelli italiani. Provate a discutere la ragione di queste differenti valutazioni, possibilmente senza ricorrere all’argomento che noi italiani saremmo più intelligenti degli americani, dei tedeschi ecc.

Nota 2 - Lo spezzone di film e la sceneggiatura che vi presentiamo sono in inglese. Preghiamo R. Pedretti, anglista di chiara fama nel territorio che si affaccia alle sponde del Brembo, di voleci fornire una traduzione italiana della sceneggiatura.

 

 

 

1 ° aggiornamento (aprile 2010)

 

Riportiamo dalla pagina di Testitrahus, intitolata Qui comincia l’avventura... le seguenti informazioni, non ancora disponibili al momento della redazione iniziale dell'articolo (gennaio 2010).

Ci rivolgiamo alla giornalista che ha seguito le vicende di Curno per conto dell’Eco di Bergamo. Anzi, per essere precisi, più che alla giornalista, ci rivolgiamo alla militante di sinistra (se ci è concesso: “mi consenta!”, così direbbe l’Innominato). Lo diciamo senza ironia: fummo anche noi militanti di sinistra, finché a sinistra non si vergognarono di essere tali, preferendo blaterare di “società civile”, o giù di lì.

    In quanto militante la giornalista, per esempio, ha firmato un manifesto che deplorava l’arresto di un giovane ricercatore triestino il quale, recatosi a Copenhagen in occasione di un vertice internazionale sul clima (il cosiddetto “Summit” del dicembre 2009), fu trattenuto in stato di fermo con l’accusa di tentata violenza: si veda l’articolo sul Corriere della Sera. In seguito, dopo venti giorni, fu assolto e scarcerato. Riguardo al manifesto, niente di male, naturalmente: la giornalista è libera di firmare tutti i manifesti che vuole. Diamo anche per scontato che ci fossero tutte le buone ragioni di questo mondo per firmare quel manifesto, tanto più che il ricercatore è stato poi assolto, dunque la presunzione d’innocenza era fondata. Ma il punto non è questo. Il punto è che quel ricercatore è triestino e che Trieste dista da Bergamo 363 km; inoltre l’evento è localizzato a Copenhagen, che dista 1511 km da Bergamo.

    È singolare che la stessa giornalista, nonché militante “de sinistra”, non si accorga del fatto che il Pedretti si è fatto promotore di quella maledetta ispezione, un’azione che tutto fa pensare in contrasto con il «diritto alla libertà di religione, compresa la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione» sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Eppure il gesto di Pedretti (che non ha fatto l’ispezione da lui programmata in forma di provocazione, ma ha chiesto che si facesse) si verificava a 5,6 km dalla redazione del giornale in cui la giornalista lavora: si veda la cartina qui accanto. Inoltre la giornalista si occupa professionalmente di Curno. È a conoscenza del gesto di Pedretti. Ora com’è che lei, militante di sinistra, non si è indignata per il gesto di Pedretti? Nel manifesto che la giornalista ha firmato si parla dello stato di fermo del ricercatore triestino come di una «sospensione dello stato di diritto […] insopportabile per tutti noi». Forse che un’azione in contrasto con l’articolo 18 della dichiarazione dei diritti dell’uomo è cosa più sopportabile?

    Infine, com’è che Aristide, un privato cittadino senza Dio, né patria, né padrone, ha avuto il coraggio di sfidare il nume di Pedretti, questo bau-bau da tutti temuto (chissà poi perché?), mentre colei che ha il conforto di militare nella schiera compatta e numerosa del popolo della sinistra ha preferito tacere sui diritti universali violati?

 

 

2 ° aggiornamento (12 febbraio 2011)

La giornalista che sull’Eco di Bergamo seguiva la cronaca politica di Curno continua a lavorare nel giornale, ma non esercita più la funzione dispotica di orientamento dell’opinione pubblica in favore degli interessi convergenti della c.d. sinistra e di Pedretti. Non credo che questo sia dovuto ai due articoli pubblicati in questo sito, Scuola di giornalismo / 1 e Scuola di giornalismo / 2: non posso tuttavia non esprimere vivo compiacimento per la cessazione di un brutto periodo di egemonia del pensiero unico, che molto ha nuociuto, prima ancora che agli organi di governo del paese, ai cittadini curnensi.

 

 

 

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